Se si prova ad indagare la storia del motociclismo in America ci si rende subito conto del differente concetto che hanno oltreoceano delle competizioni motoristiche; questa differenza si è creata ed evoluta negli anni e rispecchia la diverse mentalità degli appassionati di due continenti così distanti e diversi tra di loro nelle tradizioni e nella storia.
In effetti fino agli anni ‘70, quando Kenny Roberts se ne venne a correre ed a vincere in Europa (‘78), di quello che succedeva oltreoceano ci si interessava poco; d’altronde i media erano quelli che erano e la mancanza di grossi interessi pubblicitari a livello mondiale contribuiva a mantenere gli SS.UU nel loro isolazionismo.
Il motociclista americano per i più era quello interpretato da Marlon Brando nel film “Il Selvaggio”, in seguito ripreso in veste caricaturale dal grande Albertone in “Un Americano a Roma”, ma dietro questi stereotipi diffusi attraverso il cinematografo esistevano veri campioni che calcavano le piste d’America in lungo e in largo per vivere seguendo la propria passione l’epopea del flat-track.
Fin dal nascere dello sport motociclistico l’America e l’Europa avevano seguito strade differenti: non fu l’Europa che si sviluppò maggiormente, né tanto meno l’America, semplicemente il concetto di competizione motociclistica si evolse in modi diversi, ognuno era all’avanguardia …a casa sua.
Le difficoltà di comunicazione erano tali da far nascere due mondi paralleli, simili, ma non uguali; fu così che l’America seguì per anni una sua strada, riluttante ad assoggettarsi alla Federazione Mondiale che era nata in Europa e che per questo nella pratica non era affatto considerata “mondiale”. L’America di quegli anni seguiva e riconosceva unicamente la AMA (American Motorcycles Association) che fu la prima associazione sportiva ad occuparsi seriamente di regolamentare lo sport motociclistico in America.
Questo negli SS.UU. si sviluppò in maniera autonoma fino alla metà degli anni ‘70, quando i piloti americani poco conoscevano del motociclismo Europeo, e pur sapendo che si andava in differenti direzioni, dimostrarono scarso interesse nel cercare di rimediare.
Ora i piloti americani cercano di acquisire punti nelle competizioni mondiali; la divisione tra l’America ed il resto del mondo è stata in buona parte annullata, la FIM (Fédération Internationale Motocycliste) è da tutti riconosciuta, ma nonostante questa tendenza la mentalità isolazionista americana si ostina nel considerare come massima espressione di competizione motociclistica quella che si svolge sulle piste in terra battuta: il flat-track, per l’appunto.
Questo sport è strettamente americano nel carattere: degli Americani riflette la differente mentalità, la differente cultura e le differenti tradizioni. Possiamo dire che Europei ed Americani abbiano imparato a convivere accettando le diversità, ma nessuno ha la minima intenzione di rinunciare alle proprie tradizioni, la storia scritta dalle imprese di tanti grandi piloti merita troppo rispetto ed è doveroso riportarla ai giovani appassionati di oggi.
Ma cominciamo la storia dall’inizio:
Negli anni 20, quando il livello tecnico e il grado di affidabilità dei mezzi meccanici arrivò ad offrire sufficienti garanzie, gli appassionati cominciarono ad aver voglia di confrontarsi. Questo portò alla nascita delle prime competizioni, ma la mancanza di piste attrezzate in un paese grande come l’America fece sì che gli organizzatori inizialmente le realizzassero addirittura in legno (board-track), come i velodromi, in questo modo ottennero un ottimo successo e una larga partecipazione di pubblico. Questi impianti comportavano però un grande impegno di capitali e fu per contenere i costi che alla fine degli anni 20 si iniziò ad utilizzare le piste in terra battuta degli ippodromi. Questi erano percorsi in terra battuta piatti (flat-track) di forma ovale e normalmente avevano la lunghezza di ½ miglio o di un miglio. Col fatto che esistevano in tutte le città questi impianti consentirono la diffusione pressoché capillare di questo sport.
A prima vista le competizioni di flat-track e quelle di speedway possono sembrare molto simili, il fatto che entrambe le specialità si pratichino su piste ovali con fondo in terra battuta può portare ad identificarle in un’unica specialità, ma basta vedere come sono le moto e seguire una gara per apprezzarne le differenze:
Nel flat-track si usano moto di serie adattate all’uso con modifiche che rispettano l’originalità del mezzo, vi è grande partecipazione da parte di squadre di marca che fanno molto affidamento sul potenziale pubblicitario, le gare si svolgono su venti o più giri della pista: nello speedway invece le moto sono estremamente evolute specificamente per questo tipo di competizioni che si svolgono in numerose brevi manches.
Mentre in Europa si andavano diffondendo le corse su strada, .gli americani avevano scelto di sviluppare gli sport motoristici negli ippodromi adeguando moto e regolamenti agli impianti esistenti..
Il flat-track divenne popolarissimo, i piloti arrivavano alla pista sulle loro moto, partecipavano alla gara e quando tutto andava bene,…se ne tornavano a casa.
Se erano bravi e fortunati potevano vincere un manubrio o una gomma nuova, e se proprio era la loro grande giornata potevano anche portarsi a casa qualche dollaro di premio.
Sicuramente non erano ancora tempi nei quali si potesse pensare di vivere del ricavato di queste vittorie!
Tanti lo facevano semplicemente perchè era bello farlo, spesso era tanto bello che si rischiava la vita senza rendersene conto: il concetto di sicurezza in pista era considerato filosofia da signorine.
Negli anni ’30 lo speedway aveva raggiunto una considerevole popolarità tanto che nel ’37 il californiano Jack Milne di Pasadena vinceva il Campionato del Mondo battendo i fortissimi piloti europei, ma nonostante questo il flat-track stava diventando lo sport preminente sugli ovali d’America.
Lo scoppio della 2° Guerra Mondiale fermò per cinque anni ogni tipo di competizione, e quando furono riposte le armi il flat-track divenne immediatamente la valvola di sfogo per tanti appassionati che in quegli anni avevano dovuto reprimere le proprie voglie, a differenza dello speedway che si rivide sulle piste solo negli anni ’70.
Il parco piloti si andava ricostituendo, Joe Petrali di Milwaukee sulla Hearly Davidson ufficiale era praticamente imbattibile sia nel flat-track che nelle gare di hill-climbing che si erano pure diffuse dagli anni’30. Nel primo dopoguerra un gran numero di giovani sconosciuti si allinearono sulla linea di partenza, mentre pochi dei vecchi nomi restarono in attività, ma gli organizzatori non erano assoggettati ad alcun ente e non esisteva uno straccio di regolamento ufficiale, quindi i piloti non si sentivano minimamente tutelati e furono molti quelli che preferirono abbandonare per dedicarsi ad altri sport probabilmente meno appaganti, sicuramente meno pericolosi.
Non esisteva un regolamento unico e poiché molte gare erano organizzate dai concessionari di Harley e Indian divenne molto difficile vincere in campo avversario.
Storie di gare continuate ad oltranza per offrire al pilota locale tutte le possibili opportunità per poter vincere erano accettate come fossero cosa normale. Un pilota Indian poteva occasionalmente vincere su un tracciato “Harley” e vice versa, ma questo non era molto conveniente per l’organizzazione in quanto gli spettatori partecipavano molto accanitamente e non amavano vedere i propri beniamini perdere. La competizione veniva seguita con grande animosità dagli spettatori che volevano vedere i piloti lottare fino all’ultimo metro.
Sicuramente questo tifo contribuiva ad aumentare la spettacolarità delle gare, ma contemporaneamente ne faceva aumentare la pericolosità.
Ci fu un periodo di stasi durante il quale si perfezionarono i regolamenti e si cominciò a pensare anche alla sicurezza. La “American Motorcycle Association” fin dalla sua nascita nel 1924 aveva tentato di realizzare una normativa unica , ma solo dopo la 2° Guerra Mondiale si ebbero i primi veri risultati. Con il riprendere delle competizioni fu istituito il Campionato Nazionale di flat-track che negli anni dal 1946 al 1953 veniva disputato in una singola gara. Questa si svolgeva sull’ovale di Springfield nell’Illinois che divenne in questo modo il massimo centro di attrazione per gli appassionati. Così come 30000 spettatori si accalcavano intorno alle strutture fatiscenti del vecchio ippodromo spinti dalla grande passione e dalla voglia di esserci, con lo stesso spirito i piloti combattevano ruota a ruota per conquistare l’onore di portare il numero “1” sulla propria moto.
25 giri della pista lunga un miglio percorsi alla massima velocità e senza un attimo di respiro decidevano indiscutibilmente chi era il nuovo campione, in questo modo Springfield è entrata nella storia e poiché con il passare del tempo ogni impresa viene enfatizzata questa storia ha finito per confondersi con la leggenda.
Chet Dykgraff inaugurò l’albo d’oro vincendo nel 1946 guidando una Norton.
La risposta della Harley non si fece attendere: Jimmy Chann vinse nei tre anni successivi.
Nel 1950 la supremazia della Harley continuò con Larry Headrick , quindi Bobby Hill che vinse nel 1951 e nel 1952.
L’anno seguente fu Bill Tuman, un pilota dell’Illinois che con la sua Indian seppe entusiasmare Springfield vincendo l’ultima edizione del Campionato Nazionale che si sia disputata in prova unica. Dall’anno successivo il Campionato si sarebbe disputato su una serie di gare.
Nasceva infatti l’ “A.M.A.Grand National Champions”, e questo segnava l’inizio di un lungo periodo di supremazia da parte della Harley Davidson.
Il primo a fregiarsi del titolo di Campione Nazionale Assoluto AMA fu un grandissimo pilota che più tardi avrebbe continuato a collezionare vittorie con le auto: stiamo parlando di Joe Leonard soprannominato “Smokey”
Joe conquistò il titolo nel 1954, nel ’56 e nel ’57 vincendo 27 gare nazionali, secondo solo al grande Bart Markel: oltre ad essere veloce egli dimostrò una grande versatilità, dote indispensabile perchè le gare per conquistare il titolo si svolgevano ora su differenti tipi di tracciati e con differenti motociclette.
La serie di gare comprendeva cinque tipi di competizioni:
il primo tipo era rappresentato dalle classiche gara su strada asfaltata, dove i piloti usavano moto carenate.
Gli altri quattro tipi di gare si svolgevano sulle piste con fondo in terra battuta, più esattamente erano le gare su ovale da mezzo miglio e da un miglio, lo short track su piste da ¼ di miglio e il più particolare di tutti: lo Steeplechase TT.
Per lo short track, (che fu introdotto nel ’61) la cubatura massima ammessa dei motori fu fissata in 250cc. Gli altri tipi di competizione erano aperti in origine a due classi: 45 ed 80 pollici cubici(732 e 1312 cc), ma presto fu stabilito un limite comune di 750cc. Come nello speedway le moto non potevano avere freni, tuttavia negli anni sessanta l’incremento delle velocità fece sì che venisse ammesso il freno posteriore. L’uso dei freni era invece consentito nelle gare TT su strada sterrata.
Sulle piste di un miglio si raggiungevano velocità di quasi 200 km/h ,davvero pericolose, le misure di sicurezza erano migliorate negli ultimi anni, ma durante i primi anni del flat-track, questo sport fu il dominio di uomini senza paura che ignoravano il dolore e escludevano dai loro pensieri. le potenziali conseguenze che un incidente avrebbe potuto loro causare. ?
Molti furono i piloti che approdarono ai massimi livelli, ma pochi arrivarono alla pensione, uno di questi fu Bart Markel, un giovane che arrivò al top nel 1961, quando Joe Leonard era alla fine della sua carriera motociclistica raccogliendone l’eredità.
Mentre Leonard iniziava una nuova carriera che lo avrebbe portato a vincere per più volte il Campionato di Formula Indy, Merkel vinceva il Campionato AMA.
La sua prima vittoria valida per il Campionato Nazionale avvenne a Peoria nell’Illinois in una gara di formula TT nella quale seppe prevalere in maniera netta dimostrando una incredibile padronanza del mezzo: Bart sarebbe rimasto ai massimi livelli per un decennio.
Vinse il Campionato nel 1962,’65 e ’66, collezionando 28 vittorie in gare di Campionato dal 1960 al 1971 e nessuno riuscì ad eguagliarlo.
Per molti versi Bart Markel fu lo stereotipo del pilota Americano: era piccolo e scontroso, estremamente coraggioso e molto, molto veloce. A 40 anni si ritirò dalle competizioni nazionali, ma ha continuato a gareggiare nello short-track e sul ghiaccio facendosi sempre rispettare dai piloti più giovani.
Un altro grande pilota, Gary Nixon dell’Oklahoma, fu anche un ottimo preparatore iniziando a seguire le gare da ragazzo. Spinto da una passione incredibile partecipava alle gare come poteva, spesso con moto raffazzonate, cadendo spesso, dormendo sul furgone e rinunciando a mangiare pur di poter comprare i ricambi indispensabili per gareggiare. Anche per lui arrivò il giorno della vittoria, e da allora continuò a vincere con la sua Triumph conquistando il campionato nel ‘67 e nel ‘68 . Una serie di brutti incidenti gli fecero abbandonare il flat-track, ma nonostante i tanti patimenti subiti che avrebbero spinto chiunque altro al ritiro, Gary Nixon continuò a gareggiare in circuito.
Del suo stesso stampo era fatto Dick Mann, un incredibile personaggio della California, ritenuto a ragione il più versatile dei piloti americani, seppe fare di tutto e seppe farlo molto bene, spesso senza l’aiuto finanziario delle case costruttrici. Egli non volle correre mai con le Harley Davidson, pur essendo queste le più veloci: semplicemente pensava che sarebbe stato troppo facile. Invece seppe conquistare il Campionato Nazionale nel 1963 e 1971 correndo su moto che nessun’altro pilota avrebbe accettato di guidare. Vinse molte gare con la Matchless, e fu anche il primo a vincere delle gare nazionali con la Yamaha e la Ossa. Prima di ritirarsi nel’74 vinse 24 gare Nazionali , negli anni successivi si dedicò al motocross ed al trial partecipando nel ’75 all’Interational Six Days Trial all’isola di Man nella rapprentativa americana .
Dominatore verso la fine degli anni ’50 ed il principio degli anni’60 fu Carrol Resweber, che vinse quattro titoli nazionali: egli portò per anni il numero “1” sulla sua Harley Davidson, vincendo il suo ultimo titolo nel 1961, era a buon punto per la conquista di un nuovo titolo nel’62, quando un grave incidente lo costrinse ad abbandonare le competizioni.
Altri grandi piloti come Mert Lawill (’69)e Gene Romero(’70) portarono con onore il numero uno fino al ’72. In quell’anno vinse Mark Brelsdorf della Harley Davidson, ma l’attenzione era focalizzata su due personaggi nuovi provenienti dalla California: Kenny Roberts e Gary Scott. I due erano cresciuti assieme sfidandosi in gara per due anni nelle categorie inferiori, erano arrivati sui circuiti nazionali nel’72 e si sarebbero contesi il Campionato nei tre anni successivi. Erano entrambi ottimi piloti, ma lo stile di Kenny era più spettacolare: vederlo guidare era una esperienza che si viveva con il cuore in gola perchè in ogni istante dava la netta sensazione di essere sul punto di perdere il controllo, tuttavia non mollava e mai ebbe infortuni seri.
Spingere la guida all’estremo limite nel flat-track è molto pericoloso, il più delle volte questo comportamento prelude a veri e propri disastri, ma non era così per Kenny, ed il motivo stava semplicemente nel fatto che Lui era talmente superiore agli altri che sembrava poter sfidare le leggi della fisica.
Quando Roberts annunciò di voler abbandonare il flat-track per correre il Campionato Mondiale di Velocità nel 1978 gli appassionati americani restarono folgorati, molti dichiararono senza mezzi termini che senza Roberts le gare non avrebbero più interessato nessuno.
Logicamente tutto tornò nella norma, tuttavia per molto tempo la mancanza della Yamaha gialla e nera sulla linea di partenza a contrastare le Harley fu accettata non senza destare rimpianti.
Intanto si era cominciato ad apprezzare un pilota del Michigan: Jay Springsteen che nel 1975 aveva ottenuto il terzo posto dietro a Gary Scott ed a Kenny Roberts . L’anno successivo fu ingaggiato dalla Harley Davidson a subito si aggiudicò il campionato. Con Roberts in Europa , Scott e il giovane Ted Boody del Michigan con le Harley parvero essere i soli in grado di contrastare Springsteen.. La volontà di Kenny Roberts di affermarsi anche sulle piste europee dopo aver ottenuto il numero “1” in America rappresentò un messaggio forte e coraggioso nei confronti degli appassionati legati alle tradizioni e restii a cambiare le proprie abitudini, molti di questi infatti, pur continuando a seguire il circuito del Grand National AMA, cominciarono ad entusiasmarsi per le imprese che lui andava compiendo in Europa.
La storia del flat-track continuò e nuovi nomi vennero alla ribalta, le moto divennero sempre più sofisticate e performanti, le gare sempre spettacolari, ma è inutile cercare oggi nel nostro mondo così tecnologico lo spirito di quei tempi: i volti di quegli uomini sono scolpiti nella Hall of Fame e le loro storie possono essere apprezzate solo da chi sia pronto a credere che fosse tutto vero, ma proprio tutto, tanto è sottile il confine che le separa dalla leggenda.
Emilio Carra
P.S.
Qualche informazione in più può aiutare a meglio individuare le differenze tra le varie specialità motociclistiche praticate negli Stati Uniti:
> Lo SHORT-TRACK (pista corta)che si svolge su piste ovali da 1/4 o 1/2 miglio da percorrere in senso antiorario con moto da 250cc di cilindrata che non possono montare il freno anteriore.
> Si definisce FLAT-TRACK (pista piatta) la pista che viene normalmente ricavata da un ippodromo e che può essere da 1/2 miglio e da 1 Miglio. Le moto hanno una cilindrata max di 750cc e non possono montare il freno anteriore.
Si percorre la pista sempre ed esclusivamente in senso antiorario, pertanto i comandi a pedale vengono posizionati sul lato destro. Normalmente la moto viene messa in moto a spinta. Il pilota calza una protezione in acciaio sul piede sinistro
> Le gare TT-STEEPLECHASE (corsa ad ostacoli) si svolgono su tracciati in terra battuta piuttosto piatti incrociati a forma di 8 con un ponte e relativo salto le curve pertanto sono su entrambi i lati. Le moto hanno una cilindrata max di 750cc e possono montare entrambi i freni.
> Per DIRT-TRACK (pista sporca, inteso come fangosa) si indica la guida in fuoristrada in genere (in un certo senso anche le altre specialità sopradescritte ne fanno parte) , ma con esso si intendono piuttosto motocross, enduro e trial. Oggi in America esiste il “Campionato Motocross” disputato sulle piste naturali ed il “Campionato Supercross” che si svolge su piste artificiali negli stadi.
Altre specialità che vengono praticate normalmente:
> ROAD RACES sono le gare su strada asfaltata ( supermoto) e su pista (superbike, etc…)
> HILL-CLIMB: le gare che si svolgono su pendii ”impossibili” dove i piloti si cimentano a bordo di mezzi opportunamente modificati sfidandosi a chi riesce ad arrivare più in alto.
> DRAGSTER: specialità tipicamente americana è organizzata in gare di accelerazione su piste rettilinee di ¼ ed 1/8 di miglio, nelle quali i piloti duellano in un susseguirsi di sfide ad eliminazione diretta.
> SPEED-RECORD: gran parte degli appassionati si impegnano l’intero anno per ritrovarsi a Bonneville sul Lago Salato con il loro mezzo per superare il più delle volte … il proprio record precedente.
Ma ci sono anche squadre create da istituti di ricerca a livello mondiale che in questo luogo, oramai considerato sacro, non perdono occasione per spostare un po’ più in avanti il limite del possibile, utilizzando veicoli mostruosamente potenti.
On any Sunaday è un film documentario realizzato da Bruce Brown agli inizi degli anni settanta e documenta in maniera inequivocabile lo spirito con il quale i piloti americani vissero la loro passione per la moto, analizzate il contenuto del filmato e ditemi quanti di voi non avrebbero voluto esserci.